FESTE E TRADIZIONI RURALI PIACENTINE DI FINE ANNO
La vita e la civiltà rurale erano scandite e fortunatamente in alcuni casi lo sono ancora da un insieme di feste, di usi e costumi che spesso senza che nella coscienza collettiva a volte non se ne abbia più traccia, di cerimonie giunte fino a noi dall'antichità con il medesimo significato che affonda le radici nella tradizione contadina più remota, a volte avvolta in un aurea magico-religiosa. In generale si tratta di forme o rituali trasferiti o adattati il cui scopo fondamentalmente era quello di liberarsi dal male accumulato durante l'anno che stà morendo e di propiziare il bene per l'anno nuovo. Nella memoria comune collettiva è rimasta l'idea che queste feste che ci arrivano in alcuni casi dalla notte dei tempi siano state permeate dalle antiche convinzioni che le forze sovrannaturali agiscano sia positivamente che negativamente al massimo del loro apice. Uno degli atti più atavici che si effettuavano nelle campagne era ed è ancora rimasto nella tradizione l'accensione di un falò che brucia l'anno vecchio, con tutti i suoi dolori e e dispiaceri che oltre a scacciare gli spiriti maligni la fiamma elevandosi al cielo vuole esprime gioia, speranza e felicità per l'anno nuovo in arrivo. Ad esempio entrando nella tradizione popolare più vicina a noi quella piacentina, a San Giorgio che nei giorni precedenti a San Silvestro tutti rovistavano nelle case e raccoglievano le cose inservibili in un sacco, e facendo un gran baccano raggiungevano la riva del Nure quindi dopo aver baciato le proprie cose le gettavano nel torrente ( ovviamente ai giorni nostri è opportuno specie per la plastica imperante nelle nostre case non gettare nulla nei fiumi!). A Ponte dell' Olio un cavaliere mascherato caracollava per le vie del paese tenendo in mano due tizzoni ardenti; invece a Pianello erano due simbolici personaggi: un vecchio curvo ed un allegro e baldanzoso giovane a girare per le strade del borgo della Val Tidone, poi allo scoccare della mezzanotte sul sagrato della parrocchia l'anno vecchio veniva cacciato dal nuovo a colpi di scopa ! Nei dintorni del borgo poi si dava fuoco a cataste di fascine brindando con buon vino. Un originale consuetudine era invece quella che si praticava a Morfasso dove le giovani mettevano sotto le braci del camino un grosso anolino per farne dono al corteggiatore ufficiale quando sarebbe andato a trovarle. La notte di fine anno era considerata magica e adatta alle previsioni del tempo ed agli oroscopi d'amore: ad esempio a Cortemaggiore le ragazze da marito lasciavano all'aria aperta per tutta la notte un recipiente d'acqua; al mattino successivo dai segni formati dal ghiaccio traevano auspici per il futuro. Per Capodanno nei tempi passati stando ai vari pronostici raccolti nel piacentine si cercava di conoscere il futuro e di accaparrarsi la fortuna con ogni metodo: a Bobbio si usava " mett i Garì" ossia mettere sul focolare vicino al fuoco 12 chicchi di grano, uno per ogni mese dell'anno e recitare la formula " Par Snar me at met in sal fogh e te a t'è da fam bei stu giog" i chicchi scoppiando uno alla volta davano la premonizione, se saltavano verso la stanza, era un buon segno, se invece cadevano sul fuoco era segno di cattivo auspicio; anche in altre località piacentine seppur con una formula recitativa leggermente diversa il metodo era lo stesso. Nella zona invece di San Nazzaro d'Ongina si tagliava una cipolla a metà si disponevano poi 12 foglie su un vassoio, mettendo un grano di sale in ognuna e contrassegnandole con un biglietto recante il nome di un mese. Si lasciava poi il vassoio sulla soglia tutta la notte ed al mattino si osservavano i chicchi di sale che si erano sciolti sarebbero stati i mesi piovosi. Legati al capodanno erano anche gli auguri tra le persone che si scambiavano passando di famiglia in famiglia. A Selva di Cerignale ancora fin agli anni 70 i bambini bussavano a tutte le porte per portare "l'abondansia", ricevendo poi in cambio arance, mandarini, caramelle e torroncini. Questa abitudine era diffusa anche nell'ottonese, ed in Val d'Aveto. A Cassimoreno in Val Nure le donne si scambiano
baci e auguri, mentre a Groppo Arcelli e a Pecorara, aprendo la finestra si usava pronunciare la frase augurale: " Bondansia e bon an, bondansia par tut l'an"! A Sariano e a Gropparello si riteneva che se non si mangiava l'uva il primo dell'anno, le viti non avrebbero dato grappoli. A Gragnano ed in altri paesi occorreva gustare l'uva per avere soldi in quantità "Chi mangia uga pr' al prim ad l'an, al garà sod tu l'an". Fortuna si ha anche se si mangiano lenticchie con lo zampone o i cotechini, in quanto la forma rotonda leguminosa richiamerebbe appunto i soldi!
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L'ALBERO DELLA CUCCAGNA
L' albero della Cuccagna, una antica tradizione contadinache affonda le sue radici nella notte dei tempi, sembra che sia stata in origine derivata dal sacro albero di Maggio. L' antropologo Frezer ne colloca l'origine nella divinazione e culto arboreo diffuso in tutta Europa, in virtù del potere benefico dello spirito che dimorava nell'albero quando era in vita, quindi portatore di doni e fortuna. Poi nella tradizione contadina i doni sono diventati, leccornie salumi e cibo in genere. L' origine del termine Cuccagna è provenzale, in Francia ad esempio ha assunto il termine Occitano "Coccagne". In generale comunque questo termine indica un luogo di benessere e felicità, ma rappresenta anche metaforicamente le fatiche che a volte occorre fare per raggiungere un traguardo, uno scopo, per raggiungere una realizzazione nella vita. Nella civiltà contadina era quasi sempre presente in molte feste paesane e rappresentava uno dei pochi momenti di svago lontani dalle fatiche della quotidianità dei campi e gruppi di giovani si sfidavano per aggiudicarsi le cibarie poste sul pinnacoli dell'albero e d anche forse per farsi notare da qualche giovane donzella!!
