VARIE
LA TORRE DEI GHEZZI
e l'invasione delle soldatesche spagnole nel territorio piacentino.
( 1635-1637)
L'austera torre medioevale dei Ghezzi di Cogno San Bassano posta nel comune di Farini (PC) domina oramai da quasi un millennio isolata su un promontorio la valle del torrente Rossane, affluente di sinistra del Nure che da il nome alla valle principale, che si apre maestosa in direzione sud-est. Ebbene tra le tante vicissitudini storiche vissute da questo antico fortilizio, tuttora ancora chiamato dai locali " U CASTEL" e che per molti secoli fu uno dei tanti presidi militari disseminati in tutta la media e alta Val Nure della potente casata nobiliare valnurese dei Nicelli, è che viene ricordata ed associata ad un episodio storico particolare; l'invasione delle truppe spagnole che dilagarono in tutto il territorio piacentino, mettendo a ferro e fuoco paesi e valli, distruggendo quasi come in un flagello biblico il contado nostrano, episodi che vanno inseriti nel più grande contesto storico della guerra franco-spagnola che imperversò dal 1635 al 1659. Questa invasione non risparmiò neanche questa casa-torre dei Ghezzi che fu assediata ed incendiata dalle soldatesche spagnole come poi descriverò nelle pagine successive. le disgrazie piacentine iniziarono quando il giovane ed ambizioso rampollo Odoardo Farnese discendente dalla stirpe farnesiana diventò il duca di Parma e Piacenza. Infatti negli anni successivi al 1630, Odoardo consigliato dal suo segretario di stato francese Gaufry decise di abbandonare la tradizionale alleanza farnesiana con la Spagna, a favore di un avvicinamento alla corte reale francese nella figura del suo ministro e cardinale Richelieu. Il famoso cardinale eminenza grigia della corte francese cercava con queste manovre di distogliere le attenzioni militari spagnole dal fronte francese, spostandole su quello italiano. nel 1634 la Francia cerca di costituire un alleanza tra i principi italiani contro la Spagna, ma trova come unico alleato il ducato di Parma e Piacenza. La situazione muta l'anno successivo quando la Francia riesce a compattare un fronte più ampio di forze in quanto alla lega anti-spagnola aderiscono i duchi di Savoia, Mantova, e Modena, iniziarono così le azioni belliche ostili contro il ducato di Milano. Odoardo Farnese pur di far seguito a questa guerra che porterà morte e distruzione in tutta la marca piacentina, metterà in ginocchio la popolazione aumentando in modo esorbitante le tasse, portando ulteriore miseria alle già precarie condizioni di vita delle genti rurali. All'inizio la sorte del conflitto arride al Farnese, ma l'allungarsi dei tempi dell'assedio a Valenza e nel tortonese provocarono nel suo esercito numerose diserzioni nell'esercito farnesiano, nel frattempo, spagnoli, tedeschi, modenesi, invadono il ducato farnesiano da varie parti, visto il pericolo Odoardo farnese fa rientrare nei confini del ducato il suo esercito, mentre lui corre alla corte reale francese in cerca di aiuti; ma il rientro del suo esercito è tardivo e gli spagnoli partiti dal ducato amico di Milano occupano diverse località del piacentino: Castel San Giovanni, Rottofreno, Gossolengo, Pittolo, Mucinasso, e nel 1636 la stessa Piacenza è assediata, il resto del territorio piacentino viene devastato e saccheggiato dalle milizie spagnolo-tedesche, che massacreranno numerosa popolazione civile, solo pochi territori e fortilizi dell'appennino riusciranno a sfuggire alla distruzione ed all'occupazione della lega spagnola, i castelli di Pradovera, Pianello, la Rocca d'Olgisio Villanova ed Erbia. Odoardo farnese ed il suo esercito tenteranno di controbattere risalendo la Val Nure arrivando fino a Santo Stefano d'Aveto dove conquisteranno il castello dei Doria ( alleati degli spagnoli) ma il castello verrà tenuto per poco tempo; le sue truppe verranno sbaragliate anche in pianura a Rottofreno nel tentativo di riconquistare il castello. Al duca farnese rimangono poche migliaia di uomini appena sufficienti per presidiare le città di Parma e Piacenza. L'epilogo giunge quando Odoardo Farnese privo di alleati e finanze viene ricondotto a più miti consigli, quindi costretto a firmare la pace con la Spagna un pesante trattato di pace a suo sfavore. Nei due anni di guerra dal 1635 al 1637 tra la lega anti-spagnola di cui faceva parte anche il ducato di Parma e Piacenza ed il ducato di Milano sostenuto dalle truppe spagnole e tedesche furono molti i fortilizi danneggiati o distrutti, nella marca piacentina tra cui la torre dei Ghezzi di Cogno San Bassano oggetto della mia ricerca. Torre che verrà poi restituita all'antico splendore dal suo proprietario il già citato Marco Antonio Nicelli. Infine il danno provocato dall'occupazione straniera fu stimato in 8 milioni e 500000 scudi d'oro, prezzo di due anni di scorrerie spagnole nei nostri territori, riportate dalla cronaca del Crescenzi Romani.
Tra i tristi episodi di queste scorrerie anche da noi a Bettola nel 1636 si verificò un autentico eccidio come rappresaglia da parte delle soldatesche spagnole e tedesche che massacrarono molte persone all'interno di Torre Farnese che vi si erano riparate nel tentativo di sfuggire alla morte. Stessa sorte toccò a Bramaiano ed al suo vicino castello della Caminata, che furono espugnati dalle truppe spagnole per il tradimento del capitano ducale preposto alla difesa del fortilizio.
Mi si permetta ancora un aggiunta, purtroppo questa splendida e storica torre dei Ghezzi risulta seriamente danneggiata dal tempo e dagli eventi atmosferici in gran parte del suo tetto purtroppo se non verranno presi rapidi provvedimenti il suo destino sarà ineluttabile come tanti altri siti storici piacentini andati in rovina; ora fortunatamente alcune persone a cui fà da capofila il signor Pietro Chiappelloni, si stanno prodigando nel tentativo di sensibilizzare l'opinione pubblica locale e le istituzioni preposte alla conservazione di questo splendido retaggio architettonico storico; io da parte mia spero di avere dato con questa mia piccola ricerca storica un contributo alla causa comune.
riferimenti storici e bibliografici : STRENNA PIACENTINA 2005 " la torre, la quale ruvinata da spagnuoli nella guerra passata" : la casa-torre di Cogno San Bassano.
​
La Via degli Abati
a partire dal VII sec.
Per capire le origini della antica Via degli Abati, occorre fare un'approfondimento storico sulla situazione in quel determinato periodo temporale in cui si va collocare la VDA.
Ebbene a meno di cento anni dal crollo dell' Impero Romano d'Occidente nel 476 Dc, nel 568 Dc ci fu l'invasione dei Longobardi in Italia che passarono attraverso l'attuale Friuli, questo popolo di stirpe germanica guidato dal Re Alboino ebbe a scontrarsi con le milizie bizantine dell' Impero Romano d'Oriente; in quanto all' epoca l' Italia era una provincia bizantina, derivata dalla lunga guerra tra Bizantini e Ostrogoti che per decenni portò distruzione e morte in tutta la penisola. I Longobardi ebbero la meglio sull' esercito dei Romani d'Oriente, conquistando gran parte del nord Italia formando così i domini della Longobardia Major e penetrando anche nel centro-sud della penisola con la Longobardia Minor ( la Tuscia, ducati di Spoleto e Benevento), creando così un Italia a macchia di leopardo in quanto i greco-romani mantennero diverse zone territoriali, come ad esempio l'Esarcato di Ravenna (questo almeno nella prima fase); una nazione che non avrebbe più avuto unità territoriale per secoli fino al 1861 anno della nascita dello stato italiano. Nei primi decenni l'occupazione longobarda dell'italico suolo fu molto dura, fatta di dominio e saccheggi nel classico spirito di conquista guerriera di questo popolo nord-europeo, basti pensare alla presa di Piacenza nel 570 Dc che costrinse alla fuga verso le montagne molte persone anche in virtù della loro religione cattolica che già dal IV sec. aveva largamente preso piede in città e nel contado; Infatti occorre dire che tendenzialmente i Longobardi erano per lo più pagani o ariani, ma una parte minoritaria di loro all'arrivo in Italia già da tempo aveva abbracciato il credo Niceno. La situazione politica e religiosa iniziò a cambiare abbastanza radicalmente con l'avvento della coppia reale Longobarda di Agilulfo e la moglie Teodolinda, i quali diedero un forte segnale di avvicinamento al cattolicesimo romano facendo battezzare il loro figlio; ad onore del vero non fu solo una conversione dettata per un puro sentimento religioso, ma scientemente scelta anche per motivi politici e diplomatici specie verso il papato romano. In questo contesto storico si assiste alla nascita nel 613 Dc del Cenobio monastico di Bobbio ad opera di un grande monaco irlandese che aveva già predicato il credo cattolico in mezza Europa San Colombano; il monaco godendo dei favori e della protezione della regina Teodolinda ebbe in donazione da lei dei terreni nella zona di Bobbio e da qui iniziò la costruzione di quella che poi diventerà l' abbazia di San Colombano, unita poi al processo di evangelizzazione cristiana che i monaci Colombaniani metteranno in atto in tutto il nostro appennino creando celle monastiche in tutto il centro e nord Italia favorite sempre più dai Longobardi che proteggeranno lo stanziamento del monachesimo irlandese nei loro territori. La Via degli Abati nasce fondamentalmente come via più sicura( VII-IX sec) di comunicazione per collegare Bobbio con Pavia (Al tempo capitale del Regno Longobardo) e Bobbio con Roma passando per Pontremoli attraverso cammini appenninici, almeno fintanto che l'impero bizantino tenne sotto controllo il Passo della Cisa; situazione che si modificò solo dopo la conquista da parte del Re longobardo Rotari nella seconda metà del VII sec. della Liguria e di tutta l'Emilia occidentale, favorendo gradualmente come via principale verso la Tuscia e Roma l'attuale via Francigena, anche se comunque almeno fin verso l'anno mille la Via degli Abati fu sempre utilizzata in quanto più corta e veloce per raggiungere il centro Italia. La VDA certamente va intesa nel suo percorso sia storico che escursionistico per come la descrive l'associazione della Via degli Abati, ma ad essa erano collegati nel suo passaggio un ampio fascio di altri cammini; La VDA era utilizzata dai monaci dell' Abbazia di Bobbio per recarsi in Visita ad limina Apostolorum ( il romeaggio presso le tombe dei santi Pietro e Paolo a Roma) dal Papa, ma anche per andare a controllare i possedimenti del monastero che si estendevano nell'Oltrepò pavese e nella Toscana, ad essa poi si collegavano altri monasteri e centri religiosi come il monastero di Val Tolla, San Tommaso, Fiorenzuola con Gravago; passavano inoltre molti pellegrini che addirittura arrivavano dall' Irlanda a Bobbio per commemorare le spoglie di San Colombano che morì nel 615 e a volte per proseguire in pellegrinaggio fino alla città eterna. Ma non solo la VDA aveva anche una valenza civile e militare oltre che religiosa dato che su di esso transitavano anche i regnanti longobardi che da Pavia avevano necessità di mantenere i rapporti con il centro e sud Italia. Ma soprattutto la Via degli Abati ebbe un indiscusso valore quale crocevia di scambi culturali ed economici che ebbero come motore l'abbazia di San Colombano e Bobbio, insieme all'attenzione non secondaria dei Longobardi del ruolo identitario della religione e della ricerca di un motus vivendi con le istituzioni chiavi dell'Italia del tempo. Tutto ciò favorì una sorta di seconda evangelizzazione degli appennini che fece poi da volano tramite le pievi ( collocate lungo i percorsi) che insieme alle loro parrocchie suffraganee favorirono la ripresa dell'economia delle zone più depresse e lontane favorendone così l'insediamento umano. La VDA ai giorni nostri oltre ad essere un bellissimo percorso escursionistico che ci permette di ammirare le bellezze naturalistiche ed i patrimoni storico-culturali dei territori da essa connessi, rappresenta un percorso di vita, una ricerca di interiorità che può permetterci di essere in sintonia con ciò che eravamo, con le nostre radici culturali e religiose più profonde, in fondo per riscoprire se stessi ed il mondo che ci circonda.
Testi di Roberto Boiardi
In particolare in questa ricerca si è voluto analizzare il tratto della Via degli Abati che da Bobbio va a Bardi.
Note bibliografiche: Groppallo e la sua chiesa una storia unica, di Claudio Gallini edito da LIREdizioni stampato nel 2021.
Piacenza e la sua provincia di Leonardo Cafferini stampa Nuova Litoeffe. 2012.
​
VAL STURA DEMONTE (Piemonte) E VAL NURE, REVIGOZZO, FORSE UNA STELE VOTIVA UNIVA LA STORIA ANTICA DELLE DUE VALLI?
Revigozzo e la sua antica pieve, un sito che da secoli, dai tempi più remoti, probabilmente fu sempre dedicato al culto religioso, prima in epoca pagana e poi successivamente in epoca cristiana.
Anticamente questa comunità posta nella media val Nure, nell'attuale comune di Bettola si chiamava "RUBICOTIUM" termine dal quale poi è scaturito il toponimo di REVIGOZZO, che nella sua parte iniziale indica altresì l'esistenza in loco in epoca post-classica di un'unità territoriale di tipo religioso.
Tenendo presente anche che Revigozzo è stato uno dei punti fermi della ricostruzione topografica della val Nure in epoca romana grazie all'identificazione del "fondius RUBACAUSTUS" ( estratto dalla tabula alimentaria veleiate di epoca traianea) che è un termine adattato al latino, ma derivante dal toponimo "RUBACASCO", parola attribuibile agli antichi liguri ed attestata anche in un'epigrafe della val Stura in Piemonte.
Epigrafe scolpita in un altare/stele di marmo del II secolo dc ritrovata in un laghetto di Demonte località della val Stura posta tra le alpi Marittime e le alpi Cozie in provincia di Cuneo nel 1866; in cui un duumviro romano celebra la benevolenza nei suoi confronti di due divinità legate ai boschi ed all'acqua: "RUBACASCO" E "ROBEONE" ed alle quali dedicò un'ara sacrale, probabilmente DEI oggetto di un culto locale ( la zona era abitata dai liguri montani). Altro possibile legame quantomeno a livello toponomastico e linguistico tra le due zone geografiche in esame è il termine "RUBACOTIUM" ( antico nome di Revigozzo) in cui in base alla fonetica ligure attuale si può evincere ed ottenere la parola "RUBACOZIO"; COZIO era il nome del mitico re dei liguri montani da cui poi derivò l'attuale nome delle alpi Cozie, in sintesi "RUBACOTIUM" non è una variante latina, ma un termine integralmente ligure. Tornando al sito di Revigozzo per quanto esposto si può tentare di abbozzare che in un lontano passato vi fosse ubicata in epoca pagana un area preistorica posta su antiche vie, in cui avveniva l'associazione delle divinità "RUBACASCO E ROBEONE" con il culto e la divinazione delle acque, che forse identificano l'antico nume topico del luogo, tenendo presente ad esempio che nei pressi della pieve di Revigozzo ci sono delle sorgenti ed un toponimo " LAGHI GRANDI" e sappiamo che il culto delle acque apparteneva anche agli antichi liguri. Pieve quella di Revigozzo di origine longobarda in cui i più antichi documenti si ritrovano nelle carte bobbiesi; vedasi nel placido di Broni, 30 luglio 1047 "porcionem de plebe Sancti Micaelis" in cui con l'avvento del cristianesimo, prosegue con santo guerriero tanto caro ai longobardi, il culto delle acque, ricordando che nella stele/altare di Demonte, abbiamo un altro dettaglio molto importante, sulla medesima è scolpita la figura di un uomo che conduce un somaro con una soma, ad indicare forse antiche vie commerciali, ed anche qui in val Nure esistevano assi stradali che risalivano la valle fino alla sua testata verso la Liguria, percorsi poi che si inserivano in un più complesso sistema viario transappenninico. Analogie con altri territori non a noi vicini, ma che potrebbero stimolare in futuro magari ricerche archeologiche che potrebbero darci dei dati concreti che forse avvalorerebbero alcune tesi qui esposte.
​
Dall' amico Filippo Columella alcune indicazioni dell' influenza nella parlata dialettale piacentina specie nelle medie ed alte valli piacentine di alcuni riferimenti linguistici dell' antico ligure e ligure moderno nel nostro territorio. Nella foto Borgo San Giovanni ( Bettola) con la sua antica piazzetta San Ambrogio che nei colori e nella dispozione urbanistica ricorda molto alcuni aspetti che richiamano la Liguria. Da qui il Columella: l'antico ligure è una lingua oscura, praticamente sconosciuta in quanto vi sono ben poche iscrizioni. Forse non è nemmeno indoeuropea. Si sa che a livello di toponomastica sono riconducibili ad essa i nomi che terminano in -asca e - asco (Carisasca, Lusurasco) e quelli che iniziano con gropp- (Groppallo, Gropparello, Groppo Ducale, i monti che hanno "Groppo" nel nome). Quanto al ligure moderno, a livello lessicale ho ritrovato i vocaboli del piacentino "generico" spasura e msura come spassuira/spassueira e messuira/messueira a Finale Ligure (SV), che sono presenti anche nel Piemonte meridionale al confine con la Liguria. Nel resto dell'Emilia e della Lombardia ho notato (fatta eccezione per l'Oltrepò Pavese) altri tipi lessicali, quindi mi verrebbe da dire che sono termini di area ligure. Mi ha colpito la forma ligure della parola malato a Montereggio: marottu, come in Liguria. Un elemento tipico del ligure è il passaggio della L latina a R, ad esempio in einsaRata e nüvRa (a Finale Ligure ho notato nivuRa) invece dei più diffusi insaLata e nüvLa. Non è però solo ligure, diciamo che in ligure si è conservato di più, tanto che c'è ancora in certe zone del Piemonte e in regresso c'è anche in Lombardia e nel Piacentino (infatti diciamo ancora cuRtell e non cuLtell pur non parlando ligure). E' ligure la scomparsa della R nell'ultima sillaba: udù, curù, prufessù, frdù per odore, colore, professore e raffreddore. Sono liguri gli articoli "u" (il), "a" (la) ed "e" (le). In Alta Valnure è documentata una G palatale fra due consonanti laddove in piacentino c'è una semivocale: föggia e vöggia per foglia e voglia come in genovese. E come a Genova, in Alta Val Nure anche la scomparsa di alcune L: satà per saltare. Ci sono E del piacentino da I latina che sul nostro Appennino dittongano in EI alla ligure, come neiv e beive (invece di nev e bev). La più significativa spia ligure sono i sostantivi e gli aggettivi maschili che terminano i -u (pümassu, gattu, ommu, ferru, cadu, tempu, ventu/vaintu, atru). C'è quindi un'area di transizione tra emiliano e ligure in cui si hanno maggiori o minori caratteristiche liguri tra quelle elencate. Ad esempio a mio avviso il ligure si sente ben poco a Groppallo, ma molto a Rusteghini di Morfasso e, nel comune di Ferriere, a Castagnola e Centenaro. Non saprei però dire se questi tre villaggi hanno dialetti che possono essere classificati interamente e senza indugio come liguri. I comuni linguisticamente liguri del Piacentino sono Ottone, Zerba e Cerignale.
​
Gente molto povera quella sui nostri appennini, case di sassi coperte di chiappe, arroccate spesso intorno ai castelli dei vari signorotti feudali, a volte le case non avevano camino, e le finestre erano per la maggiore piccole questo per non pagare le tasse sulle " luci" e sui "fumanti". Queste odiose vessazioni fiscali furono abolite nel Ducato di Parma e Piacenza nel 1816 dall' illuminata duchessa popolarmente chiamata Maria Luigia, considerata una grande benefattrice nei confronti delle popolazioni meno abbienti. Diede anche un forte impulso anche alla modernizzazione delle vie di comunicazione basti pensare al ponte sul torrente Nure a Ponte dell' Olio costruito nel 1835 ed altre strade che cercavano di rompere l' isolamento nella quale si trovava la nostra val Nure. Situazione che conosceva attraverso indagini e studi sul territorio molto capillari fatte dal Moreau de Saint-Mery nel 1803 all' epoca ammistratore del Ducato per conto della Francia. Interesse quello della duchessa che aveva promosso anche attraverso gli studi del Nicoldi e del Molossi sulla topografia e la toponomastica, aiutati anche dal pellegrinaggio sulle montagne del parmense e del piacentino alla ricerca di notizie del capitano Antonio Boccia che meticolosamente descrisse palmo dopo palmo le nostre zone.. anche con descrizioni ad esempio delle genti bettolesi in una relazione del 1803 in cui testualmente scrive dei valligiani nostrani: " Essi sono d' indole cordiale, subordinati alla leggi sia divine che civili, coraggiosi e tranquilli, ma anche sommi bevitori! "
​
Il tempio perduto di Minerva a Travo la "Lourdes" della romanità.
​
Ci sono posti che anche agli occhi del visitatore più distratto non possono passare inosservati; questo non solo per la bellezza intrinseca del paesaggio o di determinate caratteristiche peculiari di un territorio, ma anche per la loro capacità di trasmettere emozioni, sensazioni quasi primordiali a livello antropologico culturale che ci spogliano della corazza dell'uomo moderno e ci riportano nella notte dei Tempi. Uno di questi posti è sicuramente un’ampia area mistico religiosa che si trova nei pressi di Travo, quasi a formare un cerchio magico che va dalla pietra Marcia alla Pietra Perduca, alla Pietra Parcellara alla rupe di Caverzago ad all'area archeologica del villaggio neolitico di Sant' Andrea, a fare da cornice poi gli imponenti crinali della Val Trebbia. Gli antichi prestavano molta attenzione a tali peculiarità del territorio ed erano soliti attribuire a questi luoghi speciali un’importanza singolare, essi vi costruivano un santuario, un altare o altro segno di riconoscimento della sacralità del luogo; una montagna, un fiume un bosco erano la manifestazione di un dio e la sua presenza si faceva misteriosamente più vicina agli uomini. Ed in un contesto come questo così carico di aura mistica e sacralità che si inserisce una millenaria tradizione confortata anche da studi e ritrovamenti archeologici (una ventina di lapidi votive risalenti al periodo romano) che collocano l'antica ubicazione del perduto Santuario romano di Minerva Medicea e Memor in tale area. Abbiamo già fin dal suo viaggio sui monti di Piacenza nel 1805 del noto cartografo Antonio Boccia una probabile individuazione del tempio sopra la rupe di Caverzago, ( ci fu anche un ospedale medievale a cui le fonti storiche attestano una remota tradizione terapeutica) l'antica Cabardiacum del quale se ne fa menzione anche nella Tabula Alimentaria Veleiate di epoca traianea dove dai romani si venerava la famosa Minerva Cabardiaca ed anche Memore alle cui cure si rivolgevano gli ammalati da ogni parte dell' Impero Romano attribuendo alla dea capacità di guarigione ed anche di formulazione di responsi riguardo alla vita. Questo complesso sacro termale testimoniava la bontà curativa e medicamentosa delle acque sorgive della zona ed anche della continuità del loro uso, infatti rimangono in località Tosi (di fronte alla rupe di Caverzago) i resti di un edificio costruito intorno ad una sorgente per usi curativi e termali del settecento. Più recentemente sono state formulate altre ipotesi in merito alla collocazione del tempio della dea Minerva, per alcuni studiosi si trovava nella zona della chiesa di Santa Maria a Travo ove come descritto anche dal Boccia erano custodite in passato numerose epigrafi votive ( per la maggiore ora nei musei a Piacenza) quindi ipotizzabile un loro riuso all' interno della chiesa; altra ipotesi è la cosiddetta piana di Dorba sempre nelle vicinanze della rupe di Caverzago, dato che questa piana è contraddistinta da un considerevole strato di detriti dovuti alla sedimentazione fluviale che nei secoli si sono costituiti a seguito dello straripamento del torrente Dorba, qui evidenze archeologiche degli anni 50 del secolo scorso testimoniate dell'affioramento di blocchi di pietra, lastre di marmo rosa e materiale da costruzione romano. Scavi più recenti avevano portato anche all' individuazione di resti di muri ed altri frammenti di iscrizioni votive poi successivamente ricoperte dall' erosione del fiume Trebbia, tutto ciò corroborate anche da una serie di foto aeree che hanno fatto della piana di Dorba un potenziale tesoro archeologico. È ipotizzabile che la costruzione di un importante santuario dedicato a Minerva si inseriva in una direttiva religiosa antica già collaudata che come spesso accadeva in altri luoghi i romani non effettuavano una vera e propria sostituzione coltuale ma spesso solo una sovrapposizione a livello di teonomia, e che quindi in questa vasta area sacrale vi fosse sicuramente in epoca preromana un centro di culto ligure o celto-ligure, riferibile alle vette, già attestato su monti limitrofi, legato ad altre forme di venerazione legate ai fiumi quindi all' acqua, infatti la dea reca anche l'attributo di Cabardiacensis, derivante dalla rupe di Caverzago che è fondamentalmente una propaggine della pietra Parcellara, questa enorme montagna di roccia ofiolitica che svetta sul paesaggio circostante presenta insieme ad evidenti segni di antropizzazione, le caratteristiche proprie di una località sacra. Singolarissima poi la vicina Pietra Perduca che emerge dalla terra quasi a costituire un immenso altare naturale costellato di vasche, vaschette, coppelle e canali cui è ipotizzabile una loro funzione cultuale che potrebbe risalire, alla luce dei ritrovamenti archeologici emersi alla sua base, riferibili all' età del bronzo. Sintomatica poi la presenza di una antica piccola chiesa dedicata a Sant' Anna ed eretta sulla viva roccia con la tradizione popolare di bagnarsi con l'acqua benedetta della Santa contenuta nelle vaschette per ottenere la guarigione da molteplici mali. Davvero a questo punto risulta difficile sottrarsi all' idea di un primitivo tempio preistorico legato al culto delle acque e forse della montagna ubicato alla Pietra Perduca e poi ripreso e trasferito, come consuetudine dai romani nella adiacente zona di Travo. Immaginando quindi poi un naturale passaggio dal culto pagano al culto cristiano contraddistinto dal leggendario soldato romano di origini siriane Antonino, convertitosi al cristianesimo fu poi catturato e martirizzato nei pressi del tempio di Minerva nel 303 A.C. Al Santo patrono di Piacenza è consacrata la chiesa di Sant’Antonino a Travo, antico edificio che si affaccia in una splendida terrazza sul fiume Trebbia e che fu costruito per l’evangelizzazione di questi territori pagani; territori che ancora oggi incarnano con religiosa semplicità tutta la misticità e le vibrazioni di questa terra appenninica.
​
Bettola anno 1562, di Boiardi Roberto. Racconto di pura fantasia, ma basato su fatti storici realmente accaduti a Bettola
Bettola anno 1562
Ho sempre sognato fin da quando ero bambino, di viaggiare con la fantasia, bastava chiudere gli occhi, immaginare, posti, mondi, epoche lontane. Ora che ho passato la soglia dei quaranta anni, venti dei quali spesi in sella a un bus, qualche sogno si è perso per strada, ma non ho mai smesso di pensare che tutto può accadere. Infatti, in un noioso pomeriggio d’agosto mentre ero alla guida del mio cavallo lungo dodici metri (il mio bus) con qualche passeggero assonnato, su una delle tante strade che portano sulle nostre belle colline piacentine, improvvisamente, non so come, l’autobus è stato avvolto da un tunnel dai colori scintillanti, sembrava di fluttuare nel nulla, il tachimetro del bus non segnava più i chilometri, ma evidenziava il numero degli anni: e lo vidi scorrere veloce, ritroso nel tempo, 2008, 2007,2006… via, via, sempre più veloce. Poi tutto a un tratto il tachimetro iniziò a rallentare e si fermò nell’anno 1562. Mi guardai e con stupore vidi che indossavo strani abiti, di foggia medioevale, una tunica marrone di lana, una calza maglia aderente, stivali legati al polpaccio con dei lacci, e infine un lungo mantello scuro. Ero frastornato, non capivo. Poi vidi passare un frate francescano cui chiesi lumi, mi disse che mi trovavo a Bettola nell’anno del signore 1562, per un attimo fui felice, ma subito fui preso da sconforto; ero sì al mio paese natio, ma 446 anni prima! Il frate mi raccontò che Bettola stava attraversando un periodo di grande splendore, in quanto sin dal 1441 al tempo del dominio visconteo era la sede della cosiddetta ”Magnifica università di val Nure”(che durò fino alla fine del 1700, ma questo il frate non poteva saperlo); un’istituzione comunitaria concessa dal Duca di Milano Filippo Maria Visconti alle popolazioni vallive nella quale erano riuniti 38 tra comuni e comunelli dislocati nel territorio della val Nure e che permetteva a queste comunità di potere legiferare in materia di tributi, giustizia, sanità, commercio. Non credevo alle mie orecchie! 500 anni prima avevano già inventato una sorta di federalismo fiscale! Poi seguendo le orme del frate mi trovai a visitare una chiesa e un convento francescano, costruiti nei dintorni di Bettola, nel luogo dove, nel 1496 ci fu l’apparizione della beata Vergine Maria sopra una grande quercia, e che ebbe come testimone una giovane pastorella; questo fatto miracoloso, determinò negli anni a venire, un vasto e sentito culto popolare in onore della Madonna della quercia patrona della val Nure. In seguito dopo essermi congedato dal frate, mi misi a vagare senza meta, osservando la frenetica attività che permeava tutta Bettola, tanto è vero che mi trovai nel bel mezzo di un grande mercato di merci e bestiame, affollato di valligiani, intenti a festeggiare la grande fiera settembrina, che era stata concessa da Papa Clemente VII nel 1523. Dopo preso dalla stanchezza e dalla fame, feci sosta in una delle tante taverne stipate di campagnoli che si ritempravano prima di ritornare sulle montagne; qui feci, l’incontro con un mercante d’olio ligure, che mi raccontò del suo lungo viaggio percorso sulla “via dell’olio”(una antica mulattiera che partiva dal golfo del Tigullio snodandosi tra le montagne dell’Appennino per giungere passando per l’alta val Nure a Bettola), per barattare l’olio con il grano dei mercanti piacentini provenienti dalla pianura padana. Poi la mia attenzione venne carpita da un gruppo di persone sedute ad un tavolo vicino, sentì che discutevano delle continue lotte tra le due più potenti famiglie feudatarie della zona, i Nicelli e i Camia che da secoli erano in lotta per assicurarsi il dominio della valle, con imprese feroci e sanguinari, specie il saccheggio messo in atto nel 1539 da un centinaio di mercenari al soldo dei Nicelli, che partendo dal castello di Cianeto, misero a ferro e fuoco Bettola; uno degli avventori della taverna disse di avere assistito alla morte di un membro del clan dei Camia che all’ età di 90 anni fu crocefisso e scorticato vivo. Questo grave episodio, proseguì nel suo racconto, indusse Papa Paolo III Farnese a fare erigere la torre Farnese a Bettola da adibirsi a commissariato di giustizia, diretto dagli inviati pontifici per tenere sotto controllo le continue scorribande dei signorotti locali; qualche anno dopo Paolo III nel 1543 elogiò la tenacia e resistenza che noi bettolesi avevamo sempre opposto ai feudatari della zona, mantenendo salda L’unità della Magnifica università di val Nure. Comunità la cui effige è rappresentata da una fanciulla nuda con i piedi che poggiano al centro del Nure, e che tiene nella mano destra un freno e nella sinistra un cartiglio recante la scritta “ già fui di freno” a simboleggiare la pace ritrovata in uno spirito di libertà e concordia, infatti la leggenda narra che quella bionda fanciulla dalle forme giunoniche, raffigurata nello stemma sia stata l’artefice della fine della secolare faida sanguinosa che contrapponeva le due più potenti casate valnuresi i Nicelli e i Camia. Improvvisamente sentì un trillo assordante nelle orecchie, era la sveglia! Dovevo andare lavorare, iniziavo il turno di guida alle 6.30! sogno o realtà? Mi girai e sul comodino vidi un'antica moneta del 1562 da 10 baiocchi in argento!
​
La "Pietà" monumento ai Caduti della Resistenza collocato davanti alle ex scuole elementari in San Bernardino di Bettola, opera del pittore e scultore Luciano Ricchetti,(Piacenza, 27 aprile 1897 – Piacenza, 30 novembre 1977) Artista piacentino della prima metà del Novecento vicino a Sironi e Spadini. Troviamo i suoi affreschi anche nel Santuario della Beata Vergine della Quercia di Bettola.
Per tanti anni questa scultura è stata lo sfondo delle foto di classe di intere generazioni di bettolesi; speriamo che nell'auspicata riconversione di questo immobile in altri usi, venga riportata anche questa scultura all'antico splendore.
​
​
​
La Tabula Alimentaria di Veleia di epoca traianea ( 106 d.c) dalle dimensioni rettangolari di 1.38x 2,86 metri. La Tabula Alimentaria di Veleia più volte rimaneggiata fu la scintilla che suscitò l'interesse per quella che poi sarebbe stata la futura scoperta di Veleia ligure-romana uno degli attuali sito archeologici più importanti del nord Italia. La Tabula in sostanza è un "atto giuridico di diritto privato." IN REALTA' LA TABULA COSTITUISCE UN TESTO STORICO DI DIRITTO LIGURE SECONDO UNA CONFIGURAZIONE ( NONOSTANTE L'EPOCA TARDA) MANIFESTAMENTE PREISTORICA, QUALE RELITTO DI UNA COSTITUZIONE ARCAICA A BASE COMUNITARIA, LA FORMULA FUNDUS ... CUM IURE APENNINI SI RIFERISCE AL DIRITTO DI PASCOLO O COMPASCUO ( IUS COMPACENDI) DELLE POPOLAZIONI LIGURI STORICHE PROPRIO PERCHE' TALI PORZIONI DI TERRENO, SECONDO UN CONCETTO COMUNE AL DIRITTO PREISTORICO, MA RIEMERGENTE ANCHE NEL MEDIOEVO, DOVEVA ESSERE CONSIDERATA PROPRIETA' DEL DIO SUPREMO DELLE VETTE, PENNINUS. E L'USO GIURIDICO DEL NOME DIVINO COSTITUIREBBE IL TRAMITE DEL PASSAGGIO DAL NOME DEL DIO A QUELLO FISICO-GEOGRAFICO. ECCO DELINEATO UN IMPORTANTE NESSO ECONOMICO GIURIDICO, RELIGIOSO: LO IUS APENNINI. VALE A DIRE CHE IL DIRITTO DI DIO, EQUIVALENTE ALLO IUS COMPASCENDI, E' IL GERME DELLA COSTITUZIONE POLITICA DEI LIGURI, SIA NELLE PIU'LIMITATE STRUTTURE DEI VILLAGGI, SIA NELLE PIU' VASTE CONFEDERAZIONI DI POPOLI CHE AVEVANO NEGLI ACROCORI MONTANI I LORO CENTRI I LORO CENTRI AMMINISTRATIVI E SACRALI. IL QUADRO NON CAMBIA NEANCHE DI FRONTE ALLA TAVOLA DI POLCEVERA INFATTI SIAMO AL COSPETTO DI UN TIPO DI INSEDIAMENTO NEL TERRENO CHE, SOTTO LA PRESENZA VIGILE DEL DIO DELLE VETTE, RIFLETTE LA TIPICA COMPAGNIA DI UOMINI LIBERI E UGUALI." ( testo estratto dal libro di renato del Ponte I Liguri Etnogenesi di un popolo. )
UBALDO FORMENTINI RIVELA CHE I LIGURI NON SENTENDOSI SUFFICIENTEMENTE TUTELATI DAI NUOVI ORGANISMI GIURUDICI ROMANI CIRCA IL RISPETTO DEI CONFINI LEGATI ALLO SFRUTTAMENTO DEL TERRITORIO, PREFERIVANO AFFIDARE TALE TUTELA AL DIVINO, DIVINO CHE RA IMPERSONATO DAL SIGNORE DELLE VETTE IL DIO PENNINUS. CIO' SI DEDUCE ANCHE DALLA TABULA VELEIATE.
( testo estratto dal libro di Italo Pucci: Culti Naturalistici della Liguria Antica)
A questo castello ( sopra Recesio) non poteva di certo mancare un racconto o leggenda di una storia d'amore, infatti una donzella di nome Amalia avvenente e giunonica figlia di un mercante che commerciava tra la Liguria e la Val Nure ( non dimentichiamo che all' epoca esisteva l'antica via dell' Olio che collegava tramite la Val Nure Piacenza con il golfo del Tigullio nel genovesato, via sulla quale transitava l'olio proveniente dalla costa ligure in un senso e viceversa nell'altro il grano, infatti per i liguri era la via del pane) fù fatta rapire da Gian Battista Nicelli ( questi Nicelli erano proprio terribili! ) che si era invaghito di lei, quando sucessivamente fù liberata da parte del padre ( probabilmente pagando un forte riscatto) scelse sbalordendo il padre di stare insieme al suo rapitore! https://www.facebook.com/roberto.boiardi/posts/pfbid0AfkZK8yHPdD6utkeCdqKqBkihzupyKQpzyDaCzQ3vfYhx8sAh4D65esoqrKyRu97l
​
Scrivi a Roberto Boiardi